L’antifragilità è una competenza che oggi più che mai va coltivata e sviluppata
Di antifragilità si sente parlare ancora poco. Quando parliamo di modelli organizzativi, le parole che da sempre siamo abituati ad utilizzare sono “robusto” o “fragile”, da qualche anno avvicinate alla stra-abusata definizione di resilienza.
Ma esattamente che cosa significa essere un’organizzazione robusta o fragile o resiliente?
Sicuramente il momento che stiamo vivendo sta mettendo a dura prova il nostro sistema industriale e produttivo, e forse oggi per la prima volta ci troviamo seriamente costretti a dover rivedere in maniera strutturata tutte queste terminologie.
Se ripenso al tessuto imprenditoriale e a quello che è stato il percorso dal 2008 ad oggi, credo che sia abbastanza chiaro il concetto di fragilità, e risiede in tutte quelle aziende, che, deboli dal punto di vista finanziario e soprattutto strategico, non sono riuscite a sostenere tutti i contraccolpi e le richieste sempre maggiori di flessibilità a cui il mondo globalizzato sempre di più c’ha sottoposto.
Quando pensiamo al concetto di fragilità, il primo esempio che ci viene in mente è quello del bicchiere di cristallo, bellissimo e unico, ma estremamente delicato che, a volte, solo asciugandolo, si spezza.
Pensando invece al concetto di “robusto” lo ritroviamo in quelle aziende che, al contrario, sono riuscite ad affrontare questo decennio abbondante grazie a basi solide e appunto robuste.
Il concetto di robusto può essere ritrovato ad esempio nella trave del tetto di casa mia, forte e solida, sostiene un gran peso e resiste a sollecitazioni esterne; ma sono veramente sicura che nessun evento potrà abbatterla?
Ecco allora che il Covid-19 ci sta dimostrando che robusto e fragile non sono due concetti alla fine così contrapposti perché un qualcosa di robusto può diventare anche fragile, dipende dallo stress al quale è sottoposto.
E quindi non è così scontato che le aziende forti finanziariamente, molto organizzate internamente e strutturate nei propri processi siano quelle che stanno traendo beneficio, piuttosto che minor perdita dal momento che stiamo vivendo.
Qualsiasi organizzazione, grande o piccola che sia, è di fatto fragile quando non è in grado di supportare le sollecitazioni esterne che la possono colpire e che sono di 4 diverse tipologie: sociale, economico, culturale e legislativo.
Tutti i teorici stanno dicendo che terminata la pandemia dovremo in maniera resiliente adattarci a tutte le conseguenze che questa lascerà e capire come affrontare il cambiamento che già appare chiaro e che colpirà tutte e 4 le sfere precedentemente elencate.
Stiamo affrontando una vera e propria crisi globale e dire che dietro ogni crisi è nascosta un’opportunità mi sembra un pò troppo semplicistico: provate voi parlare a qualsiasi imprenditore, manager, impiegato, operaio, insegnante o educatore, e dirgli: “Su, stai tranquillo, vedrai che chiusa una porta si aprirà un portone!”. Io non lo biasimerei se la sua reazione fosse quella di chiudervi il telefono in faccia (anche perché siamo in quarantena e la porta non può).
La parola crisi significa “scelta” e dietro ogni scelta vi è sicuramente una possibile opportunità di miglioramento ma è anche certo che vi può essere un pericolo: d’altra parte il vecchio proverbio dei nostri nonni “Chi lascia la strada vecchia per quella nuova, sa quel che lascia ma non quel che trova” ha accompagnato le nostre infanzia facendo crescere in noi tutta una serie di resistenze al cambiamento che poi unite ad uno dei nostri obiettivi primari (la sopravvivenza) fan si che di fronte ad eventi nuovi ed incontrollabili, la nostra prima reazione sia quella della paura.
Quindi per prima cosa rassicuriamoci su questo! Se le prime mattine abbiamo cercato invano la tutina del supereroe che ci porta fuori da questo disastro, se siamo quindi passati alla ricerca su Google di qualche pozione magica per poi limitarci a capire chi ci può portare a casa la spesa, non preoccupatevi, la reazione è naturale.
Certo questo non ci giustifica nel continuare a passare le giornate sul divano in compagnia dell’amico Netflix, anzi.
Dobbiamo sfruttare questo tempo per lavorare su una competenza che da oggi è fondamentale: l’antifragilità!
E giustamente qualcuno mi può chiedere: ma la resilienza non va più di moda?
In realtà essere resilienti significa lavorare sulla nostra elasticità, sul “mi piego ma non mi spezzo” mentre l’antifragilità è il passetto in più, perché mentre sviluppando la resilienza una volta superato il temporale l’organizzazione torna uguale a com’era prima del fatto, con l’antifragilità non solo non vengo danneggiato dalle perturbazioni e dallo stress ma addirittura miglioro, ovvero compio quello che Taleb definisce come “la capacità di prosperare nel disordine”.
Quello che attualmente stiamo facendo è la risposta robusta ad un forte stress: in qualche modo stiamo reagendo e andiamo avanti. Ma un oggetto robusto (e resiliente) per definizione torna al suo stato iniziale una volta terminata la sollecitazione esterna.
È evidente invece che essere Smart significa invertire totalmente il paradigma, passando da un concetto di ore lavorate ad uno di risultati prodotti e questo è un percorso lungo, dove più funzioni aziendali sono coinvolte nella costruzione di un nuovo modello di Business.
L’antifragilità delle nostre aziende la valuteremo qui, quando tra un anno vedremo quante hanno sfruttato questa “prova” per cambiare il loro modo di lavorare, introducendo magari il vero Smart Working.
Infatti per l’antifragilità occorre andare a lavorare di anticipo, perché tanto più io imparo a sviluppare un pensiero critico, una capacità di lettura del contesto, tanto più riesco a lavorare coi miei collaboratori passando da una modalità di controllo ad una di delega, sostenendo un approccio collaborativo e di dialogo aperto, entrando nell’ottica di un pensiero volto al miglioramento continuo che altro non è che la vera chiave dell’antifragilità.
Vi voglio portare un esempio reale di come lo stesso servizio può essere effettuato con due approcci completamente diversi.
In questo periodo di quarantena, come immagino la maggior parte di voi, ho cercato di individuare nel mio territorio delle strutture che potessero portarmi i beni di prima necessità a casa.
L’antifragilità è apparsa in maniera evidente parlando con Antonella e Giulia, due imprenditrici che gestiscono due differenti imprese agricole: entrambe oggi effettuano la consegna a domicilio ma con due modalità completamente diverse:
Antonella, appena scoppiata l’emergenza, ha mandato una comunicazione tramite tutti i suoi canali social per avvisare come si sarebbe sviluppato il nuovo servizio di consegna a domicilio: il lunedì avrebbe pubblicato l’elenco degli alimenti disponibili, gli ordini si sarebbero fatti online, al termine dell’ordine ti arriva la conferma con l’importo totale e le giornate di consegna sono definite per zone. Servizio che da ormai un mese funziona perfettamente
Giulia, appena scoppiata l’emergenza, pubblica su Facebook un elenco dei prodotti disponibili (senza però il relativo prezzo) e le settimane successive aggiorna le disponibilità in giorni non definiti. Una volta inviato l’ordine comunica la giornata di consegna e purtroppo per due settimane, causa troppo carico di lavoro inaspettato, non riesce a consegnare nelle giornate prestabilite e, cosa più grave, non comunica il ritardo. Alla terza settimana, una volta inviato l’ordine, mi comunica che se voglio, essendo loro del mio comune di residenza, sarei potuta andare direttamente a ritirare di persona l’ordine una volta che lei mi avesse comunicato essere pronto.
Le differenze nei due approcci sono notevoli ma, poiché da sempre sono incuriosita da questo famoso Capitale Umano, ho iniziato a farmi qualche domanda perché da una parte il caos di Giulia nell’evadere gli ordini mi sembrava abbastanza scontato rispetto alla tipologia di impresa e all’emergenza che ovviamente non era prevedibile. Ciò che mi stupiva era Antonella (anche se conoscendo il suo approccio imprenditoriale non poi così tanto) e quindi parlando con lei le sue parole sono state: “Sai, questa crisi per noi è stata una grandissima opportunità ma non ti nascondo che da qualche mese stavamo cercando di capire come sopravvivere contro il colosso della GDO e quindi abbiamo iniziato ad osservare cosa succedeva in giro, di cosa avevano bisogno i nostri clienti, e come stava cambiando il mondo con lo svilupparsi di piccole aziende che fanno degli abbonamenti dove settimanalmente ti arriva a casa il menù che decidi. Avevamo quindi iniziato a pensare ad un servizio a domicilio; certo ora siamo partiti di corsa ma sempre di corsa ci stiamo testando per poi potervi fornire un servizio eccellente che continuerà a domicilio anche quando tutto sarà finito”.
Questo è il senso dell’antifragilità: osservare il contesto, comprendere le necessità latenti, sviluppare delle modalità nuove di comunicazione dove il digitale va a braccetto con l’analogico, porsi sempre delle domande mettendosi in discussione, allenarsi nel gestire il proprio stress, sviluppare la propria creatività che ci aiuterà quando, qualora ci trovassimo ad affrontare una nuova e diversa tempesta, questa non ci coglierà impreparati bensì consapevoli che dal caos non solo ci rialzeremo, ma ci rialzeremo migliori di prima perché, come disse Bukowsky “Ben venga il caos, perché l’ordine non ha funzionato”.
Monica Bortoli, Consulente e Formatrice, esperta nello Sviluppo Risorse Umane HIDRA SB
Stay tuned! Resto aggiornato seguendoci in Rubrica www.hidrasocietabenefit.it e sui social @hidrasb
L’antifragilità è una competenza che oggi più che mai va coltivata e sviluppata
Di antifragilità si sente parlare ancora poco. Quando parliamo di modelli organizzativi, le parole che da sempre siamo abituati ad utilizzare sono “robusto” o “fragile”, da qualche anno avvicinate alla stra-abusata definizione di resilienza.
Ma esattamente che cosa significa essere un’organizzazione robusta o fragile o resiliente?
Sicuramente il momento che stiamo vivendo sta mettendo a dura prova il nostro sistema industriale e produttivo, e forse oggi per la prima volta ci troviamo seriamente costretti a dover rivedere in maniera strutturata tutte queste terminologie.
Se ripenso al tessuto imprenditoriale e a quello che è stato il percorso dal 2008 ad oggi, credo che sia abbastanza chiaro il concetto di fragilità, e risiede in tutte quelle aziende, che, deboli dal punto di vista finanziario e soprattutto strategico, non sono riuscite a sostenere tutti i contraccolpi e le richieste sempre maggiori di flessibilità a cui il mondo globalizzato sempre di più c’ha sottoposto.
Quando pensiamo al concetto di fragilità, il primo esempio che ci viene in mente è quello del bicchiere di cristallo, bellissimo e unico, ma estremamente delicato che, a volte, solo asciugandolo, si spezza.
Pensando invece al concetto di “robusto” lo ritroviamo in quelle aziende che, al contrario, sono riuscite ad affrontare questo decennio abbondante grazie a basi solide e appunto robuste.
Il concetto di robusto può essere ritrovato ad esempio nella trave del tetto di casa mia, forte e solida, sostiene un gran peso e resiste a sollecitazioni esterne; ma sono veramente sicura che nessun evento potrà abbatterla?
Ecco allora che il Covid-19 ci sta dimostrando che robusto e fragile non sono due concetti alla fine così contrapposti perché un qualcosa di robusto può diventare anche fragile, dipende dallo stress al quale è sottoposto.
E quindi non è così scontato che le aziende forti finanziariamente, molto organizzate internamente e strutturate nei propri processi siano quelle che stanno traendo beneficio, piuttosto che minor perdita dal momento che stiamo vivendo.
Qualsiasi organizzazione, grande o piccola che sia, è di fatto fragile quando non è in grado di supportare le sollecitazioni esterne che la possono colpire e che sono di 4 diverse tipologie: sociale, economico, culturale e legislativo.
Tutti i teorici stanno dicendo che terminata la pandemia dovremo in maniera resiliente adattarci a tutte le conseguenze che questa lascerà e capire come affrontare il cambiamento che già appare chiaro e che colpirà tutte e 4 le sfere precedentemente elencate.
Stiamo affrontando una vera e propria crisi globale e dire che dietro ogni crisi è nascosta un’opportunità mi sembra un pò troppo semplicistico: provate voi parlare a qualsiasi imprenditore, manager, impiegato, operaio, insegnante o educatore, e dirgli: “Su, stai tranquillo, vedrai che chiusa una porta si aprirà un portone!”. Io non lo biasimerei se la sua reazione fosse quella di chiudervi il telefono in faccia (anche perché siamo in quarantena e la porta non può).
La parola crisi significa “scelta” e dietro ogni scelta vi è sicuramente una possibile opportunità di miglioramento ma è anche certo che vi può essere un pericolo: d’altra parte il vecchio proverbio dei nostri nonni “Chi lascia la strada vecchia per quella nuova, sa quel che lascia ma non quel che trova” ha accompagnato le nostre infanzia facendo crescere in noi tutta una serie di resistenze al cambiamento che poi unite ad uno dei nostri obiettivi primari (la sopravvivenza) fan si che di fronte ad eventi nuovi ed incontrollabili, la nostra prima reazione sia quella della paura.
Quindi per prima cosa rassicuriamoci su questo! Se le prime mattine abbiamo cercato invano la tutina del supereroe che ci porta fuori da questo disastro, se siamo quindi passati alla ricerca su Google di qualche pozione magica per poi limitarci a capire chi ci può portare a casa la spesa, non preoccupatevi, la reazione è naturale.
Certo questo non ci giustifica nel continuare a passare le giornate sul divano in compagnia dell’amico Netflix, anzi.
Dobbiamo sfruttare questo tempo per lavorare su una competenza che da oggi è fondamentale: l’antifragilità!
E giustamente qualcuno mi può chiedere: ma la resilienza non va più di moda?
In realtà essere resilienti significa lavorare sulla nostra elasticità, sul “mi piego ma non mi spezzo” mentre l’antifragilità è il passetto in più, perché mentre sviluppando la resilienza una volta superato il temporale l’organizzazione torna uguale a com’era prima del fatto, con l’antifragilità non solo non vengo danneggiato dalle perturbazioni e dallo stress ma addirittura miglioro, ovvero compio quello che Taleb definisce come “la capacità di prosperare nel disordine”.
Quello che attualmente stiamo facendo è la risposta robusta ad un forte stress: in qualche modo stiamo reagendo e andiamo avanti. Ma un oggetto robusto (e resiliente) per definizione torna al suo stato iniziale una volta terminata la sollecitazione esterna.
È evidente invece che essere Smart significa invertire totalmente il paradigma, passando da un concetto di ore lavorate ad uno di risultati prodotti e questo è un percorso lungo, dove più funzioni aziendali sono coinvolte nella costruzione di un nuovo modello di Business.
L’antifragilità delle nostre aziende la valuteremo qui, quando tra un anno vedremo quante hanno sfruttato questa “prova” per cambiare il loro modo di lavorare, introducendo magari il vero Smart Working.
Infatti per l’antifragilità occorre andare a lavorare di anticipo, perché tanto più io imparo a sviluppare un pensiero critico, una capacità di lettura del contesto, tanto più riesco a lavorare coi miei collaboratori passando da una modalità di controllo ad una di delega, sostenendo un approccio collaborativo e di dialogo aperto, entrando nell’ottica di un pensiero volto al miglioramento continuo che altro non è che la vera chiave dell’antifragilità.
Vi voglio portare un esempio reale di come lo stesso servizio può essere effettuato con due approcci completamente diversi.
In questo periodo di quarantena, come immagino la maggior parte di voi, ho cercato di individuare nel mio territorio delle strutture che potessero portarmi i beni di prima necessità a casa.
L’antifragilità è apparsa in maniera evidente parlando con Antonella e Giulia, due imprenditrici che gestiscono due differenti imprese agricole: entrambe oggi effettuano la consegna a domicilio ma con due modalità completamente diverse:
Le differenze nei due approcci sono notevoli ma, poiché da sempre sono incuriosita da questo famoso Capitale Umano, ho iniziato a farmi qualche domanda perché da una parte il caos di Giulia nell’evadere gli ordini mi sembrava abbastanza scontato rispetto alla tipologia di impresa e all’emergenza che ovviamente non era prevedibile. Ciò che mi stupiva era Antonella (anche se conoscendo il suo approccio imprenditoriale non poi così tanto) e quindi parlando con lei le sue parole sono state: “Sai, questa crisi per noi è stata una grandissima opportunità ma non ti nascondo che da qualche mese stavamo cercando di capire come sopravvivere contro il colosso della GDO e quindi abbiamo iniziato ad osservare cosa succedeva in giro, di cosa avevano bisogno i nostri clienti, e come stava cambiando il mondo con lo svilupparsi di piccole aziende che fanno degli abbonamenti dove settimanalmente ti arriva a casa il menù che decidi. Avevamo quindi iniziato a pensare ad un servizio a domicilio; certo ora siamo partiti di corsa ma sempre di corsa ci stiamo testando per poi potervi fornire un servizio eccellente che continuerà a domicilio anche quando tutto sarà finito”.
Questo è il senso dell’antifragilità: osservare il contesto, comprendere le necessità latenti, sviluppare delle modalità nuove di comunicazione dove il digitale va a braccetto con l’analogico, porsi sempre delle domande mettendosi in discussione, allenarsi nel gestire il proprio stress, sviluppare la propria creatività che ci aiuterà quando, qualora ci trovassimo ad affrontare una nuova e diversa tempesta, questa non ci coglierà impreparati bensì consapevoli che dal caos non solo ci rialzeremo, ma ci rialzeremo migliori di prima perché, come disse Bukowsky “Ben venga il caos, perché l’ordine non ha funzionato”.
Monica Bortoli, Consulente e Formatrice, esperta nello Sviluppo Risorse Umane HIDRA SB